La recente implementazione del Piracy Shield, concepito per contrastare la pirateria online in Italia, ha suscitato numerose polemiche.
Sotto accusa ci sono guasti significativi, inefficacia e costi esorbitanti.
Nonostante le buone intenzioni, il sistema ha già mostrato gravi fallacie, tanto da essere etichettato come dannoso da diversi membri interni di Agcom, inclusa Elisa Giomi.
Inoltre, le spese per la manutenzione della piattaforma superano già i 256 mila euro, un onere che pare aumentare continuamente.
Grandi nomi come Google e Amazon hanno anche espresso la loro contrarietà, sollevando interrogativi sulla legittimità della gestione del Piracy Shield.
Secondo un’analisi della I2Coalition, l’adozione del Piracy Shield in Italia ha incrinato i rapporti con i fornitori di servizi internet, a causa di ordini di blocco che avvengono senza supervisione.
Il sistema, progettato per proteggere i titolari di diritti, impone misure drastiche in tempi brevissimi, escludendo ogni possibilità di ricorso.
Di conseguenza, sono state segnalate ingiuste disconnessioni di importanti servizi web, negando l’accesso a contenuti non legati alla pirateria.
Questo contesto normativo ha portato a una gestione affrettata delle richieste, con gravi conseguenze per gli utenti e per i servizi cloud.
In varie occasioni, le aziende sono state costrette a sospendere le loro operazioni in Italia a causa di regole restrittive e problematiche.
In questo scenario, le lamentele verso giganti come Google evidenziano una carenza di comunicazione e collaborazione tra le parti, alimentando tensioni che potrebbero complicare ulteriormente la lotta alla pirateria.
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