Negli Stati Uniti, sebbene gli ultimi indicatori mostrino una flessione nell’inflazione, i tassi d’interesse non accennano a diminuire.
Al contrario, si prevede che rimarranno elevati per un periodo prolungato.
I fattori alla base di questa decisione sono numerosi e complessi.
Tra questi, i cambiamenti significativi dello scenario economico globale, inclusa la guerra commerciale dei dazi voluta da Donald Trump.
Questa situazione porta la Federal Reserve (Fed), la banca centrale statunitense, a mantenere ferma la sua posizione.
In questo contesto, dopo una breve fase di ripresa, la borsa di Wall Street mostra segni di rallentamento, in particolare riguardo ai titoli delle Big Tech, che nel recente passato avevano mostrato performance molto forti.
La recente dichiarazione di Jerome Powell, presidente della Fed, durante un discorso a Washington, ha ulteriormente chiarito questa posizione.
Powell ha confermato che, nonostante le aspettative di inflazione a lungo termine siano compatibili con l’obiettivo stabilito del 2%, non ci saranno riduzioni immediate e sensibili dei tassi.
Un aspetto preoccupante è la possibilità di un periodo prolungato di shock dell’offerta, spesso provocato dalle tensioni commerciali.
Le misure annunciate dalla Casa Bianca per affrontare questa crisi, anche se parzialmente sospese per una moratoria di 90 giorni, rimangono vigenti e le decisioni definitive sulla loro modifica non sono ancora state adottate.
Le discussioni tra gli Stati Uniti e altre economie importanti come Cina e Giappone, e con l’Unione Europea, non hanno ancora raggiunto risultati chiari e soddisfacenti, a eccezione di un’accordo con il Regno Unito.
È possibile che la Fed continui su questa linea di condotta, rimanendo cauta sui possibili tagli ai tassi, mentre le speculazioni si intensificano riguardo alla Bce che potrebbe, entro la fine dell’anno, iniziare a ridurre i tassi d’interesse in piccole tranche di 0,25% per almeno tre volte.
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