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Il neo presidente Donald Trump ha colto subito l’occasione per firmare oltre 100 ordini esecutivi nel suo primo giorno d’insediamento, focalizzando la sua attenzione su un tema cruciale: la tassazione globale delle multinazionali.
Questa decisione segna l’inizio di un intenso dibattito sui temi fiscali, in particolare riguardo alla Global Minimum Tax promessa in campagna elettorale.
Con il memorando inviato al Segretario al Tesoro, Trump ha ufficialmente ritirato gli Stati Uniti dalla riforma fiscale dell’OCSE, che prevedeva un’aliquota minima del 15% per le multinazionali e la tassazione dei servizi digitali.
Questa mossa non solo annulla gli sforzi compiuti fino ad oggi, ma smentisce qualsiasi intesa precedente, a meno di un intervento del Congresso.
Inoltre, si richiede un’analisi delle normative che potrebbero danneggiare le aziende americane in modo ingiustificato.
L’accordo, che ha coinvolto quasi 140 paesi, aveva come obiettivo la regolamentazione fiscale delle Big Tech, aziende che producono enormi fatturati grazie ai loro servizi digitali.
Tuttavia, l’approccio di Trump cancella gli accordi raggiunti, riportando il tema della tassazione internazionale a una fase di stallo.
L’Unione Europea ha risposto con preoccupazione, dichiarando di essere ancora impegnata sugli accordi internazionali e aperta a nuove discussioni.
Il commissario europeo all’economia, Valdis Dombrovskis, ha espresso rammarico per la decisione statunitense, sottolineando la volontà di dialogare.
Parallelamente, la guerra dei dazi si intensifica, vedendo Donald Trump pronto a colpire non solo la Cina, ma anche Canada, Messico e Unione Europea, accusandoli di pratiche commerciali sfavorevoli.
In questo contesto, la diplomazia avrà un ruolo cruciale per stabilire nuove relazioni commerciali e fiscali.
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